Psicosi maniaco-depressiva
Psicosi maniaco-depressiva | |
Classificazione e risorse esterne | |
ICD-9-CM | (EN) 296.80 |
ICD-10 | (EN) F31 |
Sinonimi | |
Disturbi bipolari | |
BSD |
« La Melanconia costituisce l’inizio della Mania e ne è parte integrante [...] Lo sviluppo della Mania rappresenta un peggioramento della Melanconia piuttosto che il passaggio ad una patologia differente. » | |
I disturbi dello "spettro bipolare", ovvero i quadri clinici un tempo globalmente indicati col termine di "malattia maniaco-depressiva", consistono in sindromi di interesse psichiatrico sostanzialmente caratterizzate da un’alternanza fra le condizioni contro-polari di eccitamento ed inibizione dell'attività psichica. Questa disregolazione funzionale si traduce nello sviluppo di alterazioni dell'equilibrio timico (psicopatologia dell'umore), dei processi ideativi (alterazioni della forma e del contenuto del pensiero), della motricità e dell'iniziativa comportamentale, nonché in manifestazioni neurovegetative (anomalie dei livelli di energia, dell'appetito, della libido, del ritmo sonno-veglia).
Sulla base del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (D.S.M.), i disturbi bipolari comprendono il Disturbo Bipolare di I tipo, il Disturbo Bipolare di II tipo, il Disturbo Ciclotimico e la categoria residua del Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato.
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[modifica] Cenni storici
Si ritiene che sia stata individuata sin dai tempi dell'antica Grecia, ma la sua definizione è stata fornita solo nel 1921 da Emil Kraepelin[2]
Secondo analisi storiche si ritiene che personaggi illustri come[3], Ludwig Boltzmann, Sylvia Plath, George Gordon Byron, Winston Churchill, Napoleone Bonaparte, Giacomo Leopardi, Vincent van Gogh, Friedrich Nietzsche, Kurt Cobain e Jaco Pastorius soffrissero di tali disturbi.[4]
[modifica] Epidemiologia
L'incidenza totale di tali disturbi arriva all'1,2% nel sesso maschile ed è leggermente maggiore nel sesso femminile (1,8%), e durante il corso della vita si arriva al 2% di rischio.[5] Distinguendo tra le forme si osserva che nella forma I l'incidenza è pressoché pari fra i due sessi, mentre nella forma II si distingue il maggiore impatto sul sesso femminile.[6] Il disturbo ciclotimico ha un'incidenza più bassa (0,4-1%)[7]
Per quanto riguarda l'età, esordisce principalmente intorno ai 18 anni (il disturbo ciclotimico 15-20), anche se può manifestarsi in qualunque età.[8] Dall'inizio del XXI secolo sono aumentati i casi che riguardano l'età infantile.[9]Inoltre tali disturbi si presentano maggiormente nei paesi più industrializzati e nelle persone celibi-nubili o separate.
[modifica] Quadro clinico e diagnosi
Il disturbo bipolare si caratterizza per lo sviluppo di alterazioni ciclico-periodiche del livello di attivazione psichica, episodi talora intervallati da periodi asintomatici (eutimia, normotimia o normoforìa), talaltra capaci di cronicizzare in fasi protratte, a detrimento del funzionamento dell'individuo, che va incontro ad un progressivo, inesorabile scadimento.
In realtà, la sintomatologia affettiva, non è neppure la manifestazione più evidente, mentre lo sono le conseguenze comportamentali, fra l'altro più facilmente obiettivabili e - da un punto di vista operativo - più utili ai fini diagnostici.
La discriminazione fra i vari sottotipi clinici dello spettro bipolare (tipo I, tipo II, Ciclotimia) avviene sostanzialmente sulla base del decorso e della connotazione sintomatologica delle fasi affettive intercorrenti (od anamnesticamente raccolte).
Il Disturbo Bipolare di I tipo è ad es. caratterizzato dalla presenza di uno o più episodi maniacali o misti. Nella maggior parte dei casi gli episodi maniacali o misti sono alternati ad uno o più episodi depressivi, anche se questi non sono affatto necessari alla formulazione della diagnosi. In effetti, nel 2-10% dei casi si verificano esclusivamente ricadute maniacali, forme queste ultime che mostrano più spesso un esordio tardivo.
Il Disturbo Bipolare di II tipo mostra invece un decorso clinico caratterizzato da almeno un Episodio Depressivo Maggiore (vedi paragrafo dedicato), intervallato da almeno un Episodio Ipomaniacale spontaneo.
Il Disturbo Ciclotimico è infine connotato dallo sviluppo di svariati episodi ipomaniacali, alternati a periodi caratterizzati dalla presenza di sintomi depressivi, che tuttavia non sono sufficienti per porre diagnosi di Depressione Maggiore.
La precedente caratterizzazione non può certamente prescindere dalla descrizione degli episodi affettivi maggiori, ovvero de: l' Episodio Maniacale, l' Episodio Misto, l' Episodio Ipomaniacale, infine l' Episodio Depressivo Maggiore, che è di seguito riportata.
Episodio Maniacale
Nel corso dell’episodio maniacale è possibile individuare una fase d’esordio, una fase di stato ed una fase di risoluzione. Tra i fattori di rischio capaci di favorire lo sviluppo dell’eccitamento maniacale nei soggetti vulnerabili vi sono la drastica riduzione del tempo totale di sonno, l’uso di farmaci (antidepressivi, glucocorticoidi), l’abuso di sostanze voluttuarie dotate di azione psicostimolante (come il caffè, le amfetamine, la cocaina, etc…). Solitamente la fase d’esordio dell’episodio maniacale è più repentina rispetto a quella della depressione: se alcune volte la mania conclamata è annunciata da sintomi prodromici, quali ad es. risvegli precoci associati a senso di benessere, di incremento delle energie e di rinnovato ottimismo, che insistono per 3-4 giorni, determinando solitamente un favorevole incremento della produttività ed un miglioramento delle performance più in generale, altre volte si assiste ad un brusco viraggio dell’umore, fenomeno noto come switch espansivo e che consiste nell’improvviso transito dall’eutimia (o dalla depressione) alla fase di stato della mania, che può avvenire in poche ore, non di rado dopo una notte insonne. La fase di stato della mania ha una durata media statisticamente inferiore a quella dell’episodio depressivo e si aggira sui 4-6 mesi. Ad essa segue la fase di risoluzione, in genere piuttosto rapida (giorni, settimane), cui può far seguito un periodo di eutimia, una nuova una fase depressiva, oppure ancora un Episodio Misto.
Colto nella sua fase di stato, l’episodio maniacale è definito dal DSM-IV-TR come: A. Un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo od irritabile, della durata di almeno una settimana (o di qualsiasi durata se è necessaria l’ospedalizzazione). B. Durante il periodo di alterazione dell’umore, tre (o più) dei seguenti sintomi sono stati persistenti e pèresenti a un livello significativo (quattro se l’umore è solo irritabile): 1) autostima ipertrofica o grandiosità 2) diminuito bisogno di sonno (per es., si sente ripostato dopo solo 3 ore di sonno) 3) maggiore loquacità del solito, oppure continua spinta a parlare 4) fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente 5) distraibilità (cioè, l’attenzione è troppo facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti) 6) aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) oppure agitazione psicomotoria 7) eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati). C. I sintomi non soddisfano i criteri per l’episodio misto. D. L’alterazione dell’umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativc o delle attività sociali abituali o delle relazioni interpersonali o da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche. E. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco o altro trattamento) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).
Nota: Episodi simil-maniacali chiaramente indotti da un trattamento somatico antidepressivo (per es., farmaci, terapia elettroconvulsivante, light therapy) non dovrebbero essere considerati per una diagnosi di Disturbo Bipolare I
La mania è dunque una sindrome di eccitamento (psico)affettivo endogeno, ovvero a genesi autoctona, caratterizzata dall’esaltazione morbosa, pervasiva, protratta ed altrimenti ingiustificata, di sentimenti vitali ed emozioni, nonché delle pulsioni istintive. Un tale stato di elazione patologica si associa tipicamente ad un senso di autostima ipertrofica, di ottimismo e di facilità nel perseguimento dei propri obiettivi, che sottendono sentimenti di sicurezza e di potenza, spesso clamorosamente ostentati. Tuttavia, piuttosto che dall’euforia, l’umore espanso è contraddistinto da un aspecifico ampliamento della risonanza affettiva e dalla labilità emotiva ovvero da una sostanziale instabilità dell’umore. Nell’episodio maniacale sono infatti tutt’altro che rare le oscillazioni contropolari: il paziente, adesso ludico, gioioso, può rapidamente scivolare verso un cupo pessimismo, per poi tornare altrettanto repentinamente alla più smodata ilarità. Inoltre, benché tendenzialmente socievole ed comunicativo, qualora contrastato, può facilmente divenire polemico, irascibile, aggressivo o addirittura violento. L’aspetto peculiare della labilità emotiva maniacale è ben inquadrato dalla frase di Schule, il quale affermava come nulla fosse durevole in mania se non la trasformazione . Caratteristica dell’episodio maniacale è inoltre l’accelerazione del flusso ideativo (tachipsichismo), che è il prodotto di una facilitazione dei processi associativi. D’altro canto, se ad un livello moderato di eccitamento le associazioni rispettano i principi elementari della logica, in un momento di gravità successivo si può riscontrare il cosiddetto allentamento dei nessi associativi: i collegamenti tra le idee tendono a farsi più superficiali, magari realizzandosi per rima o per somiglianza fonetica. Nelle forme più severe accelerazione ideativa ed allentamento dei nessi associativi possono giungere a configurare la cosiddetta fuga delle idee (o pensiero fuggente), in cui si assiste allo smarrimento della tendenza determinante del flusso ideico, ovvero alla perdita della direzionalità. Nei gradi più estremi di fuga delle idee si perde ogni residuo legame di concatenazione, ciò che configura il cosiddetto “pensiero scucito” e che esita nella peculiare “insalata di parole”. Nelle forme più gravi di mania è poi frequente il rilievo di una riduzione della capacità attentiva: il focus si sposta continuamente ed è spesso catturato da stimoli secondari o irrilevanti rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Di fatto, questa marcata distraibilità costituisce motivo di profonda perturbazione di ogni attività finalizzata. La ricca produzione ideativa del paziente maniacale, talora spinta sino all’ideorrea , converge su alcuni contenuti ad impronta espansiva: frequenti sono i progetti vanagloriosi, i temi di grandezza, la millanteria, la fabulazione ludico-fantastica. In alcuni casi i temi di grandezza giungono ad assumere intensità francamente delirante. Abbiamo allora i deliri di ambizione (il paziente ritiene di possedere notevoli qualità psichiche o fisiche), i deliri di riforma (il paziente crede fermamente di poter rivoluzionare l’assetto socio-politico o religioso vigente), i deliri inventori (il paziente si attribuisce invenzioni o scoperte geniali), i deliri genealogici (il paziente è convinto di discendere da una genealogia illustre), i deliri di potenza (si identifica con personaggi influenti), i deliri megalomanici (nella megalomania il paziente è convinto di possedere poteri psico-fisici straordinari, giungendo talora a ritenersi immortale), i deliri mistico-religiosi (il paziente godrebbe di un contatto privilegiato col divino), i deliri di enormità (il paziente crede di avere un corpo immenso, immortale e totipotente, che spesso colloca al centro dell’universo), i deliri d’amore ovvero l’erotomania di Esquirol o sindrome dell’amante immaginario di De Clérembault che consiste nella convinzione di essere amato da una persona in realtà ignara. Non rari anche i deliri di infedeltà (impropriamente definiti deliri di gelosia) ovvero il convincimento delirante di essere traditi dal proprio partner; a questa conclusione, che se nella sostanza può anche coincidere col vero, il paziente giunge in maniera del tutto paralogica ed in assenza di prove concrete ed incontrovertibili. La mania si manifesta anche sul piano volitivo e motivazionale, caratterizzandosi per un marcato incremento dell’iniziativa, ovvero un’esasperata spinta verso l’azione. In effetti, se l’inibizione rappresenta l’esito comportamentale caratteristico della depressione, nella mania, sua controparte speculare, la diagnosi è sovente resa possibile dalle manifestazioni di disinibizione ed attivazione comportamentale. La sindrome di eccitamento coinvolge caratteristicamente anche la sfera motoria: il paziente in stato maniacale mostra una mimica ed una gestualità accentuate, iperepressive, teatrali, associate ad una motricità vivace ed accelerata, che può oscillare fra la semplice irrequietezza motoria e l’agitazione franca. L’eloquio, rapido e sostenuto, è spesso interrotto da esclamazioni, turpiloquio , giochi di parole e audaci battute di spirito. L’incrementata pressione del linguaggio (“spinta a parlare”), che si manifesta con loquacità, prolissità, logorrea, può spingersi fino a configurare il cosiddetto “fiume di parole”. In tali circostanze il paziente tende a scivolare di digressione in digressione, in una progressiva rotta di deriva. La festinazione ideo-verbo-motoria si inserisce in una più generica tendenza all’iperattività. Questa, se non esasperata, può di fatto condurre ad un aumento della produttività e delle performance ma, quando troppo accentuata, implica una progressiva disorganizzazione del comportamento, fino a concludere nel cosiddetto affaccendamento afinalistico. Tra le manifestazioni comportamentali osservabili nella mania abbiamo inoltre l’incremento della progettualità, il coinvolgimento in attività ad alto tenore di rischio, associato a sottovalutazione delle potenziali conseguenze negative, la prodigalità, ovvero la tendenza ad effettuare spese inutili od eccessive, l’abuso di sedativi e psicostimolanti, l’aggressività verbale e/o fisica, che può sfociare nelle crisi clastiche o pantoclastiche del furore maniacale, come in violenza eterodiretta , l’intrusività od i comportamenti comunque inadeguati nelle relazioni interpersonali: il paziente tende infatti a divenire inopportuno e privo di ritegno, mostrandosi disinibito, volgare e talora sessualmente promiscuo. Sul piano somatico e neurovegetativo sono caratteristici il senso di benessere fisico, la ridotta sensibilità al caldo e al freddo, agli stimoli dolorosi, l’aumento dei livelli di energia, che si riflette in un’apparente instancabilità, il ridotto bisogno di sonno, che può spingersi fino all’insonnia totale, l’accentuazione della libido, fino alla “satiriasi” ed alla “ninfomania ”, nel maschio e nella femmina rispettivamente. Carlson & Goodwin (1973) hanno proposto di suddividere il periodo di stato in tre stadi aventi gravità progressivamente crescente: lo stadio I è fondamentalmente caratterizzato dall’euforia e dall’iperattività; lo stadio II è dominato da labilità emotiva, agitazione psicomotoria e deliri. Nello stadio III prevalgono disorganizzazione psichica e bizzarrie comportamentali. Tali stadi sono talora osservabili durante il decorso di un singolo episodio maniacale; putroppo, la transizione dall’una all’altra fase avviene in tempi estremamente variabili da caso a caso e rimane in molti casi misconosciuta fino alle forme più eclatanti.
Episodio Misto
Riportiamo di seguito i criteri diagnostici DSM-IV-TR per l’Episodio Misto: A. Risultano soddisfatti i criteri sia per l’Episodio Maniacale che per l’Episodio Depressivo Maggiore (eccetto per la durata), quasi ogni giorno, per almeno 1 settimana. B. L’alterazione dell’umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali o delle relazioni interpersonali, o da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche. C. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., un droga di abuso, un farmaco o un altro trattamento), o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo). Nota: gli episodi simil-misti chiaramente indotti da un trattamento somatico antidepressivo (per es., farmaci, terapia elettroconvulsivante, light therapy) non dovrebbero essere considerati per una diagnosi di Disturbo Bipolare I.
La definizione del DSM-IV-TR – che descrive l’Episodio Misto come uno stato affettivo morboso generato dalla perfetta commistione di sintomi eccitativi e sintomi depressivi – è sicuramente riduttiva ed in quanto tale conduce inevitabilmente ad una sottostima della condizione. In realtà, gli stati misti costituirebbero l’espressione centrale del Dsturbo Bipolare, rappresentando la più comune forma di presentazione della malattia e quella che tra l’altro reca le peggiori implicazioni prognostico-terapeutiche. Ci sembra pertanto opportuno fornire una descrizione più realistica della condizione, che si caratterizza piuttosto per il disarmonico accoppiamento di eccitamento ed inibizione a carico di umore, ideazione e (psico)motricità, ovvero da un diverso livello di attivazione (e di polarità opposta) per le succitate funzioni psichiche. Il SNC non è dunque globalmente in uno stato di contemporanea sovra-stimolazione e depressione, condizione che sarebbe peraltro difficile da concepire, mentre viene a trovarsi in una condizione di inconciliabilità del livello di attivazione delle diverse strutture nervose che si suppone sottendano specifiche funzioni psichiche. Alcuni pazienti maniaco-depressivi mostrano ricadute affettive esclusivamente del tipo misto, cioè soggetti nei quali non vengono mai a realizzarsi i quadri di mania euforica e di depressione melanconica tipici. Secondo alcuni autori, questi soggetti rappresenterebbero in realtà la maggior parte dei pazienti maniaco-depressivi. L’insorgenza degli stati misti, in alcuni casi spontanea, è del resto favorita dall’abuso di sedativi (alcool, benzodiazepine, barbiturici) e psicostimolanti (cocaina, amfetamine). Nella pratica clinica può d’altro canto costituire l’esito indesiderato di una terapia antidepressiva. Esso rappresenta la condizione psicopatologica a più alto rischio suicidario: è stato stimato che la maggior parte dei tentativi di suicidio venga attuata durante le fasi miste piuttosto che nel contesto di un episodio depressivo. In effetti, nella depressione “pura”, l’inibizione ideativa e psicomotoria sono solitamente tali da frenare qualsiasi tipo di iniziativa, per quanto virtualmente desiderata. Particolarmente a rischio saranno pertanto quegli stati misti caratterizzati da depressione dell’umore associata a disinibizione psicomotoria. E’ in queste condizioni, spesso associate a ideazione delirante, che possono essere progettati e realizzati i cosiddetti “suicidi allargati”, ovvero estesi ai propri familiari e talora effettuati con intento salvifico . Stati misti transitori sono facilmente osservabili nelle fasi di transizione tra episodi maniacali e depressivi puri o viceversa, in quanto lo switch delle funzioni psichiche coinvolte può verificarsi in “scostamento di fase”. Si tratta spesso di condizioni ad elevata instabilità, caratterizzate da rapide oscillazioni dell’umore, con alternanza tra l’euforia, la disforia, l’ansia terrifica, la depressione, fino alla paralisi emotiva (perplessità), fluttuazioni di energia ed iniziativa (psicomotricità), ora nel senso dell’inibizione e fino all’arresto motorio, adesso verso la disinibizione della sfera istintivo-pulsionale e motoria, con irrequietezza, eccitamento od agitazione psicomotoria, infine oscillazioni della produttività del pensiero tra l’affollamento ideico (ideorrea), la fuga delle idee e la paralisi ideativa (stupor). In tali circostanze non è insolito lo sviluppo di una fenomenica psicotica (deliri, allucinazioni). A questo proposito, è stato stimato che le forme psicotiche possano rappresentare fino al 50% degli stati misti e che non di rado vadano incontro alla cronicizzazione, quando per stati misti cronici si intendono propriamente forme “cristallizzate” con durata pari ad almeno 2 anni. E’ bene sottolineare che questi quadri pongono spinosi problemi di diagnosi differenziale con i disturbi dello spettro schizofrenico.
Episodio Ipomaniacale
Secondo il DSM-IV-TR, l’Episodio Ipomaniacale è definito come: A. Un periodo definito di umore persistentemente elevato, espansivo o irritabile, che dura ininterrottamente per almeno 4 giorni, e che è chiaramente diverso dall’umore non depresso abituale. B. Durante il periodo di alterazione dell’umore tre (o più) dei seguenti sintomi sono stati persistenti e presenti ad un livello significativo (4 se l’umore è solo irritabile): 1) autostima ipertrofica o grandiosa 2) diminuito bisogno di sonno (per es., sentirsi riposato dopo solo 3 ore di sonno) 3) maggiore loquacità del solito, oppure continua spinta a parlare 4) fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente 5) distraibilità (cioè l’attenzione è facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti) 6) aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale), oppure agitazione psicomotoria 7) eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati C. L’episodio si associa ad un chiaro cambiamento nel modo di agire, che non è caratteristico della persona quando è asintomatica. D. L’alterazione dell’umore e il cambiamento nel modo di agire sono osservabili dagli altri. E. L’episodio non è abbastanza grave da provocare una marcata compromissione in ambito lavorativo o sociale, o da richiedere l’ospedalizzazione, e non sono presenti manifestazioni psicotiche. F. I sintomi non sono dovuti all’azione fisiologica diretta di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco o un altro trattamento), o ad una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
Nota: episodi simil-ipomaniacali chiaramente indotti da un trattamento somatico antidepressivo (per es., farmaci, terapia elettroconvulsivante, light therapy), non dovrebbero essere considerati per la diagnosi di Disturbo Bipolare II.
L’Episodio Ipomaniacale non dovrebbe essere confuso con gli intervalli liberi, ovvero con le giornate di eutimia che seguono la risoluzione di un Episodio Depressivo Maggiore. La discriminazione tra mania ed ipomania codificata dal DSM-IV è in realtà alquanto artificiosa poiché si basa su mal quantificabili criteri di gravità e di durata: affinché si possa diagnosticare un’“ipomania”, è ad es. necessario che la condizione si protragga per almeno 4 giorni, ciò che esclude tutti quegli episodi ipomaniacali (documentati) di durata compresa tra 1 e 3 giorni, conducendo inevitabilmente ad una sottostima del fenomeno. Per la mania è invece necessaria una durata pari ad almeno una settimana, sempre che la gravità della condizione non sia tale da richiedere l’ospedalizzazione, nel qual caso è sufficiente una durata inferiore. E’ evidente che si tratta di una soglia diagnostica convenzionale piuttosto arbitraria. Un siffatto “cut-off” sarà scarsamente attendibile in quanto risente inevitabilmente della sensibilità del clinico, del livello intellettivo e della personalità premorbosa del paziente, del supporto familiare, dell’influsso socio-culturale, sempre più difficile da valutare in una popolazione multietnica. Se è vero che la polarità espansiva è piuttosto sfumata, d’altro canto la sintomatologia depressiva può essere altrettanto intensa rispetto al I tipo, per cui sono frequenti tematiche autolesive, ideazione suicidaria e tentativi di suicidio. I pazienti bipolari di tipo II mostrano sovente una vena artistica ed inclinazioni creative. Sono personaggi eccentrici tendenti a condurre una vita “tempestosa” e talora ad assumere comportamenti indesiderati dal punto di vista sociale. Rispetto al I tipo, le ripercussioni affettive, sociali e lavorative sono generalmente di minor rilievo: tendenzialmente negative qualora prevalgano impulsività ed irritabilità, addirittura positive, specialmente per quanto concerne la produttività lavorativa e le performance psicofisiche in generale, quando si realizzano fasi ipomaniacali stabili, durante le quali il soggetto si presenta brillante, iperattivo, difficilmente stancabile e con un ridotto bisogno di sonno. In questi soggetti sono di frequente riscontro l’abuso di alcool ed altre sostanze e la comorbidità coi disturbi d’ansia, in particolare col disturbo di panico , col disturbo ossessivo-compulsivo e con la fobia sociale. In passato, la distinzione dicotomica tra disturbi dell’umore unipolari e bipolari ha riscosso ampio consenso tra ricercatori e clinici. Tuttavia, svariati pazienti considerati affetti da depressione unipolare tendono a virare verso l’ipomania se curati con antidepressivi, fino a rendere necessario l’utilizzo di stabilizzatori dell’umore. Oggi molti autori considerano tali casi alla stregua di disturbi bipolari del II tipo. Si ritiene inoltre che svariate diagnosi di disturbo unipolare siano in realtà fondate su omissioni nella raccolta dei dati: la descrizione di una fase espansiva non è facile da ottenere in anamnesi, poiché molti pazienti la considerano quale standard di normalità delle loro performance, quindi come il benessere psicofisico, lo stato di salute da recuperare. E’ per questo che molte volte la natura bipolare di un disturbo affettivo si rende manifesta per la prima volta durante la terapia con antidepressivi. In breve, fra i depressi considerati “unipolari” (secondo alcuni autori oltre il 50%), molti potrebbero essere riclassificati come bipolari di II tipo, pseudo-unipolari e bipolari “soft”, ovvero come forme di bipolarità attenuata, gravata tuttavia da un carico di comorbidità paragonabile al I tipo.
Episodio Depressivo Maggiore (EDM)
Consiste in un singolo episodio depressivo di intensità lieve, moderata o grave, con o senza sintomi psicotici (allucinazioni, deliri). E’ in assoluto il disturbo dell’umore più frequente: nel corso della vita, la probabilità di sviluppare un EDM oscilla tra il 10 ed il 25% nelle donne e tra il 5 ed il 12% nei maschi. Inoltre, sono tutt’altro che rare le recidive, con una probabilità calcolata intorno al 50% nei primi 2 anni di malattia ed intorno al 78% nei dieci anni successivi. E’ bene sottolineare che in circa il 50% dei casi la Depressione Maggiore rappresenta soltanto la modalità di esordio di un disturbo affettivo più complesso (come ad es. un Disturbo Bipolare). Nel corso dell’episodio depressivo si possono individuare una fase d’esordio, che è più spesso progressiva ed è frequentemente preannunciata da disturbi del pattern ipnico. All’esordio segue la cosiddetta fase di stato, che nel soggetto non sottoposto ad alcun trattamento mostra una durata media complessiva pari a 6-8 mesi ed è caratterizzata dalla maggiore espressività sintomatologica. Il periodo di stato esita infine nella fase di risoluzione, che può essere anche più rapida dell’esordio ed è spesso preannunciata dalla normalizzazione del pattern ipnico. Nella sua fase di stato, questa condizione è ben descritta dai criteri diagnostici del DSM-IV-TR per l’episodio depressivo maggiore: 1. Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da 1) umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere. Nota: non includere sintomi chiaramente dovuti ad una condizione medica generale, o deliri od allucinazioni incongrui all’umore.
1. Umore depresso per la maggior parte del giorno2, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (per es., si sente triste o vuoto) o come descritto da altri (per es., appare lamentoso). Nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile. 2. Marcata diminuzione di interesse o piacere (anedonia) per tutte, o quasi tutte le attività, per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri) 3. Significativa perdita di peso, senza essere a dieta, od aumento di peso (per es., un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese), oppure diminuzione od aumento dell’appetito quasi ogni giorno. Nota: nei bambini, considerare l’incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali. 4. Insonnia od ipersonnia quasi ogni giorno. 5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato) 6. Faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno (astenia3 e adinamia4-NdA) 7. Sentimenti di autosvalutazione e di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato) 8. Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva od osservata dagli altri) 9. Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, od un tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.
B. I sintomi non soddisfano i criteri per un episodio misto.
C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti.
D. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un medicamento) o di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
E. I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto, cioè, dopo la perdita di una persona amata, i sintomi persistono per più di 2 mesi, o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
Molto spesso è il paziente stesso ad avvertire la differenza fra la normale tristezza e la depressione: in effetti l’umore depresso è più intenso, persistente, fisso ed è scarsamente sensibile alle sollecitazioni esterne. L’altro sintomo nucleare della depressione è rappresentato dalla dimensione ipoedonismo-anedonia, rispettivamente riduzione od abolizione della capacità di provare piacere per le attività che di norma costituiscono fonte di gratificazione per lo stesso paziente. La perdita di piacere si accompagna inevitabilmente ad una contrazione degli interessi abituali, che può spingersi fino alla loro perdita. Parallelamente si registra una riduzione della spinta motivazionale, che si riflette in una contrazione o nella abolizione volontà ed iniziativa, fenomeni rispettivamente noti con i termini ipobulia ed abulia. Caratteristica a questo proposito è la difficoltà o l’incapacità di prendere decisioni. Peculiare della variante melanconica è la contrazione della risonanza affettiva, ovvero una riduzione della gamma emotiva in risposta agli avvenimenti, che nei casi più pronunciati può giungere alla spiacevole sensazione di non riuscire più a provare sentimenti. Questa penosa sensazione di “ipo-anestesia” affettiva viene indicata col termine di sentimento della mancanza di sentimenti,” sintomo che il soggetto vive con disagio, spesso facendosene una colpa. Al contrario, nella depressione “atipica” la reattività emotiva è conservata o addirittura esacerbata. Il paziente può inoltre mostrare un variabile grado di rallentamento psichico (bradipsichismo), che può spingersi sino all’arresto. Il depresso tende ad insistere su pochi contenuti, sui quali rimugina in chiave pessimistica. La polarizzazione del pensiero è incentrata su temi ricorrenti e caratteristici come ad es. idee di autosvalutazione, di inadeguatezza e indegnità, fondamentalmente correlate alla contrazione dell’autostima, temi colpa, di inutilità, di sconfitta, idee di impoverimento, di miseria e di rovina, temi di inguaribilità, pensieri di morte, propositi suicidi, etc… Di fatto, in alcuni casi il paziente passa da un’ideazione prevalente al delirio franco, ovvero alla ferma convinzione, sostenuta con caparbia tenacia nonostante ogni prova del contrario, ciò che configura la cosiddetta depressione psicotica. Generalmente il contenuto dei deliri tenderà ad essere congruo, ovvero in linea con la polarità affettiva. Caratteristici sono ad esempio i deliri di colpa od autoaccusa (il paziente può ritenersi responsabile di fatti non commessi od per mancanze veniali), i deliri di miseria, di povertà o di rovina (il paziente è convinto di essere economicamente compromesso o di essere caduto in disgrazia), i deliri ipocondriaci (che consistono nell’assoluta convinzione di essere affetto da una terribile malattia, in assenza di lesioni somatiche obiettivamente rilevabili), etc… Sul piano motorio, la depressione e in ispecie le gravi forme melanconiche, può associarsi ad un variabile grado di compromissione della motricità intenzionale. Si possono infatti rilevare inerzia motoria, rallentamento, talora spinto fino all’arresto motorio, come nella grave condizione dello stupor depressivo. Sono inoltre presenti gestica ipomobile, andatura lenta e strascicata, eloquio rallentato, monotono, riduzione della mimica facciale (facies ipomimica) od espressioni caratteristiche del volto: si ricorda ad es. il cosiddetto “omega depressivo”, tracciato dal corrugarsi della fronte in un'espressione di sofferenza che ricorda l’omonima lettera greca. La depressione differisce dalla comune tristezza fisiologica anche per l’intervento di peculiari alterazioni neurovegetative, tra le quali disordini del sonno (insonnia terminale, ovvero risvegli precoci, versus ipersonnia, come osservato nella depressione melanconica ed “atipica”, rispettivamente), alterazioni dell’appetito (iporessia-anoressia, versus iperfagia), deficit della libido (desiderio ipoattivo, anorgasmia, disturbi dell’erezione fino all’impotenza sessuale), variazioni circadiane dei livelli di energia (miglioramento serotino versus peggioramento serotino nella depressione melanconica rispetto a quella atipica). Sono inoltre possibili segni e sintomi somatici quali stipsi, diminuzione od arresto del flusso mestruale, cefalea, dispepsia, disturbi genitourinari, dolore psicogeno ; secondo alcuni autori questi sintomi sostituirebbero le manifestazioni affettive, costituendo i cosiddetti “equivalenti depressivi”. Si tratterebbe cioè di forme di depressione mascherata in cui il sintomo fisico nasconde il colorito triste dell’umore. Innegabile il substrato organico della depressione, come dimostrato dallo sviluppo di manifestazioni fisiche obiettivabili, segni che certuni autori considerano alla stregua di marker biologici della depressione melanconica; tali sono ad es. il rallentamento delle risposte vasomotorie e l’ipotensione ortostatica in particolare, i disturbi del pattern ipnico (ridotta latenza REM, come evidenziato dal tracciato polisonnografico), l’alterazione del test di soppressione al desametazone , la disregolazione dei ritmi cronobiologici circadiani come ad es. l’anticipo di fase, che poi giustificherebbe l’insonnia terminale (risvegli precoci). Nella depressione melanconica l’orologio biologico (attività ritmico-periodica del nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo) e le funzioni neurovegetative da esso regolate, tendono infatti ad anticipare il ciclo luce-buio, mentre normalmente avverrebbe perfettamente il contrario . Dall’analisi delle manifestazioni neurovegetative emergono elementi distintivi di due forme depressive sostanzialmente differenti: la depressione “endogena o melanconica” e la depressione “reattiva od atipica”. Infatti, mentre la melanconia si caratterizza per la cosiddetta alternanza diurna classica, ovvero la tendenza al miglioramento serotino di umore, energie ed iniziativa, la depressione atipica disvela un’alternanza diurna inversa, ovvero un’opposta tendenza al peggioramento serotino. Inoltre, se nella melanconia si ha iporessia od anoressia, nelle forme atipiche si ha piuttosto iperfagia, con craving (ovvero desiderio incoercibile) per i carboidrati, i dolci ed il cioccolato in particolare. La depressione “atipica” è inoltre caratterizzata da ipersonnia piuttosto che insonnia, con esasperazione del ritardo di fase nel ciclo sonno-veglia, astenia con senso di paralisi plumbea degli arti. Tuttavia, la differenza più importante tra le forme depressive classiche e quelle atipiche consisterebbe nella reattività dell’umore, che in queste ultime risulta essenzialmente conservata.
Il problema della depressione ricorrente Le forme depressive ricorrenti (almeno due episodi depressivi in anamnesi, separati da un periodo di benessere anche soltanto parziale di durata non inferiore ai due mesi) richiedono particolare attenzione, in quanto potrebbero celare un disturbo bipolare misconosciuto. In effetti, molte di queste forme andrebbero ragionevolmente considerate alla stregua di disturbi pseudo-unipolari. Di fatto, secondo le più recenti tendenze della ricerca, che sembrano riallinearsi alle posizioni della psichiatria classica europea, le forme ricorrenti che pur non manifestano un decorso francamente maniaco-depressivo, sarebbero più correttamente da inquadrare nel contesto dei disturbi dello spettro bipolare. Una tale conclusione ha una valenza tutt’altro che speculativa, poiché si riflette in una diversa prognosi e soprattutto comporta un approccio terapeutico differente e specifico.
[modifica] Eziologia
Le cause ipotizzate per il disturbo bipolare sono eterogenee e comprendono fattori biologici, genetici e ambientali.
[modifica] Fattori biologici
- Neurochimica - viene considerato l'effetto della serotonina e di un suo deficit,[10] che provoca un effetto sulle sinapsi del sistema nervoso centrale simile alla depressione. Inoltre sembra coinvolta anche la noradrenalina.
- Disturbi del sistema endocrino - si nota la correlazione fra un eccesso di cortisolo, ovvero la sindrome di Cushing e la depressione.[11] Sotto tale aspetto si utilizza il test di soppressione al desametazone ma non fa una distinzione dei vari disturbi psichici e quindi in tali casi risulta inutile.
- Sistema immunitario - anche se la ricerca si sta muovendo con idee opposte sull'argomento, si sospetta un coinvolgimento del sistema immunitario, osservando la natura dei vari sintomi della depressione.[12]
[modifica] Fattori genetici
Si sono svolti numerosi studi in tal senso, evidenziando un maggiore fattore di rischio nella forma I, nella quale l'incidenza è di 8-18 volte maggiore.[13] I cromosomi indagati in cui si è riscontrata una connessione sono il 5[14] l'11 e il X.
Altri studi genetici hanno suggerito molte regioni cromosomiche e qualche gene candidato che sembra in relazione allo sviluppo del disturbo bipolare, ma i risultati non si sono dimostrati consistenti e spesso non sono replicabili.[15] Anche se il primo linkage genetico per la sindrome maniacale venne scoperto nel 1969,[16] gli studi sul linkage si sono rivelati inconsistenti.[17]
Gli studi di linkage genetico possono essere seguiti dalla ricerca di disequilibri del linkage tramite la mappatura fine all'interno di un singolo gene, ed in seguito tramite la determinazione della sequenza del DNA; utilizzando questo approccio, cambi di paia di base del DNA, con effetto causale, sono stati segnalati per i geni P2RX7[18] e TPH1.
Recenti meta-analisi degli studi sul linkage hanno rilevato la mancanza di variazioni significative ad ampio livello genomico, oppure, utilizzando una metodologia diversa, soltanto due picchi significativi a livello genomico, sul cromosoma 6q e sul 8q21. Gli studi di associazione genetica non hanno portato a identificare un focus consistente, dato che ogni studio ha identificato un nuovo locus, senza che nessuno dei loci precedentemente identificati fosse replicato[17].
Le ricerche hanno fatto scoprire un polimorfismo a singolo nucleotide nel DGKH;[19] un locus in una regione ricca di geni con grande disequilibrio di linkage (Linkage Disequilibrium) sul cromosoma 16p12;[20] e un polimorfismo a singolo nucleotide nel MYO5B.[21].
Un confronto di questi studi, combinato con un nuovo studio, suggeriva l'associazione con ANK3 e CACNA1C, che si ritiene attualmente siano correlati ai canali del calcio e del sodio[22]. Diverse scoperte indicano fortemente un'eterogeneità, con diversi geni implicati in diverse famiglie[23].
Numerosi studi specifici hanno trovato vari link specifici[24][25][26][27][28]. L'età avanzata dei genitori al momento del concepimento è stata collegata in qualche modo all'aumento del rischio di disturbo bipolare nella discendenza, fatto consistente con l'ipotesi dell'aumento di nuove mutazioni[29]. Una revisione mirante ad identificare le scoperte più consistenti suggeriva diversi geni correlati alla serotonina (SLC6A4 e TPH2), alla dopamina (DRD4 e SLC6A3), al glutammato (DAOA e DTNBP1), alle vie metaboliche implicate nella crescita o manutenzione della cellula (NRG1, DISC1 e BDNF), anche se ha constatato la possibilità di un alto rischio di falsi positivi nella letteratura pubblicata. È stato anche suggerito che probabilmente singoli geni abbiano soltanto un piccolo effetto e siano coinvolti in qualche aspetto relativo al disturbo bipolare (e ad un ampio aspetto di quello che definiamo il "normale" comportamento umano) piuttosto che al disordine in se stesso[30].
[modifica] Fattori ambientali
Il disturbo può essere innescato in soggetti predisposti da eventi sociali forti tali da indurli a creare universi paralleli nelle sfere affettive o lavorative: un universo associato alla normalità l'altro all'evasione. L'uno generando sempre l'ansia dell'assenza dell'altro. Secondo le ipotesi più accreditate, i vari fattori interagiscono determinando uno squilibrio delle funzioni dei neurotrasmettitori all’interno di alcune specifiche zone del cervello con un'alterazione a favore della trasmissione eccitatoria (episodi a carattere ipomaniacale o maniacale) o inibitoria (episodi a carattere depressivo).
Fattori psicosociali, quali lutti, abusi durante l'infanzia, gravi perdite affettive, problemi finanziari o lavorativi, gerontofobia o shock sentimentali possono innescare nei soggetti predisposti il processo che dà origine alla malattia.
La predisposizione è correlata con l'ereditarietà o alla persistenza di stimoli esogeni forti. Dunque la predisposizione non necessariamente si esplica nello sviluppo della malattia, poiché l'assenza di forti stress nell'esperienza dell'individuo predisposto potrebbe evitare l'insorgenza dei sintomi. Una volta che il disturbo si è instaurato, gli episodi di entrambe le polarità tendono a presentare ricorrenze, sia spontanee, sia in relazione a vari stress psicologici associati ad ansie e sindromi compulsive, sociali, fisici ed in relazione ai ritmi biologici.
[modifica] Terapia
Non si conosce una cura definitiva per il disturbo bipolare. Tuttavia tale condizione può essere tenuta sotto controllo ed i pazienti bipolari possono condurre una vita normale e produttiva. Occorre tenere presente che il trattamento farmacologico non deve essere prolungato oltre il necessario per evitare che vi siano effetti negativi pericolosi.[31]
Il successo della terapia è direttamente correlato alla disponibilità del paziente, che spesso rifiuta le cure, in quanto non riconosce di essere malato, o le sospende una volta dimesso.
[modifica] Terapia farmacologica
Un farmaco con azione stabilizzante dell'umore potrebbe essere definito idealmente come attivo nel trattare entrambe le fasi del disturbo e nel prevenire le ricadute. Nella pratica si utilizzano definizioni più estensive, che comprendono farmaci attivi nel prevenire alcune recidive senza incrementare l'incidenza di recidive di polarità opposta.
[modifica] Litio
Nelle linee guida internazionali sono i sali di litio (in genere carbonato di litio) il farmaco di prima scelta che previene l'esordio nel 60-70% dei casi.[32] Capisaldi del trattamento sono in effetti gli stabilizzatori dell'umore (litio, la cui somministrazione può durare anche anni, da 5 a 10 e, se venisse interrotta e poi ripresa, l'effetto sarebbe diverso). I suoi effetti collaterali includono nausea, polidipsia, poliuria, ipotiroidismo, iperparatiroidismo e deficit a livello cognitivo. Occorre fare attenzione alla quantità somministrata in quanto è possibile che insorga un'intossicazione. Si parla di intossicazione da litio quando si superano i valori di 1,5 mEq/l.[33] La pericolosità dell'intossicazione risiede nella circostanza che, oltre ai normali effetti collaterali (atassia, vertigini), può condurre al delirio e alla morte.
[modifica] Lamotrigina
La lamotrigina (Lamictal), anch'essa appartenente alla classe degli anticonvulsivanti, svolge invece una prevalente funzione di prevenzione delle ricadute depressive, tanto da essere classificata da alcuni autori come un antidepressivo. Il meccanismo con cui tutti questi farmaci riescono a stabilizzare l'umore non è ancora del tutto chiaro. In alcuni casi gli anticonvulsionanti possono comportare risultati migliori del litio (e possono essere associati ad esso).
[modifica] Altri farmaci
L'acido valproico, l'oxcarbazepina e la carbamazepina[34] riducono l'intensità e la frequenza delle crisi, sia maniacali compulsive sia depressive ed ansiogene.
I neurolettici possono provocare discinesia tardiva, la sindrome neurolettica maligna,[35] e aumentano la tossicità del litio nel caso venisse somministrato.
Antipsicotici utilizzati sono la cloropromazina,e l'aloperidolo, che vengono utilizzati nella fase maniacale acuta[36] la clozapina viene utilizzata in dosi 12,5 fino a 600 mg al giorno ma deve essere controllato il livello ematico, e previene la re-ospedalizzazione.[37]
Sono state utilizzate anche benzodiazepine come il lorazepam o il clonazepam in dose di 2-6 mg[38] che hanno un duplice effetto positivo: da una parte riducono le dosi da somministrare di farmaci potenzialmente nocivi dall'altra hanno un veloce controllo sullo stato di agitazione del soggetto.
Per quanto riguarda le ricadute la Levo-tiroxina, su cui sono state condotte numerose ricerche in dosi dai 150 ai 400 ug,[39] assunta in aggiunta del litio in dose 25-50 mcg al giorno riduce la durate e l'intensità degli attacchi, per lo stato depressivo si preferiscono gli IMAO come la tranilcipromina e gli SSRI rispetto ai triciclici.
Recenti studi mostrano risultati modesti per altri antiepilettici come il gabapentin e il topiramato. Un'altra possibilità per la terapia è rappresentata dall'impiego di farmaci antipertensivi come la clonidina (un antiadrenergico), e i calcioantagonisti verapamil e nimodipina. Gli studi sull'impiego di queste tre sostanze nel trattamento del disturbo bipolare sono ancora pochi e se ne riserva l'utilizzo in casi resistenti agli altri trattamenti.
[modifica] Antipsicotici atipici
Soggetti che rispondono in modo insoddisfacente al trattamento con stabilizzatori o associazioni di essi possono trarre giovamento dall'aggiunta allo schema terapeutico di un antipsicotico atipico, in particolare olanzapina, quetiapina e aripiprazolo, che hanno tutti forte valenza nella prevenzione dell'episodio maniacale. Olanzapina e quetiapina hanno il vantaggio di avere anche efficacia nelle fasi depressive e migliorano la qualità del sonno, oltre ad avere una grande rapidità di inizio d'azione.
In un paziente già in trattamento l'introduzione o l'aumento di dose di un antipsicotico atipico di quelli sopra indicati migliora rapidamente il quadro.
Nelle forme più serie può essere necessario l'utilizzo di altri antipsicotici tradizionali, come i butirrofenoni.
Un paziente non trattato può trarre giovamento dalla sola introduzione degli stabilizzatori dell'umore.
Casi di mania disforica, ovvero percepiti in modo negativo anche dal malato, e la mania accompagnata da agitazione sono da considerare emergenze psichiatriche e necessitano di un trattamento tempestivo. Forme lievi rispondono alle benzodiazepine, in particolare clonazepam e lorazepam (2-4 mg per via parenterale). Spesso è però necessario il ricorso ad antipsicotici iniettivi come l'aloperidolo e l'olanzapina IM (modalità di somministrazione intramuscolare). Spesso può rendersi necessaria l'ospedalizzazione.
[modifica] Farmaci utilizzati
Ecco un elenco dei principi attivi utilizzati:
Categoria farmaco | Principio attivo |
---|---|
Antipsicotici | Clorpromazina - Olanzapina - Risperidone - Quetiapina- Aripiprazolo - Ziprasidone - |
Antiepilettici | Acido valproico - lamotrigina - Carbamazepina |
Altri (stabilizzatori) | Litio |
[modifica] Terapia della fase depressiva
Il trattamento dell'episodio depressivo in corso di disturbo bipolare è particolarmente delicato in quanto qualsiasi farmaco psicoanalettico può potenzialmente portare il paziente a virare verso una fase maniacale. Gli studi non sempre sono concordi su quali molecole risultino meno rischiose sotto questo aspetto. Ci sarebbero indicazioni comunque per considerare il bupropione e la venlafaxina come i farmaci di scelta. È comunque necessario, per minimizzare il rischio di viraggio, che il trattamento antidepressivo sia effettuato al dosaggio minimo efficace e soprattutto che sia mantenuta la terapia stabilizzante a base di litio, anticonvulsivanti ed eventualmente un antipsicotico atipico.
L'introduzione del già citato stabilizzatore dell'umore lamotrigina è efficace nella prevenzione delle ricadute depressive, ma non ci sono prove definitive che la molecola prevenga l'insorgere della mania.
Negli Stati Uniti è in commercio un'associazione fissa olanzapina più fluoxetina (Zyprexa e Prozac) sotto il nome Symbiax.
Opportuno anche un accenno alla TEC (terapia elettroconvulsivante) che, seppur ancora molto discussa, in alcuni casi resistenti dimostra di avere una notevole efficacia in particolare negli stati depressivi e misti.
[modifica] Terapia adiuvante
Tra le terapie di supporto farmacologico si segnala la terapia con acido folico; la cui carenza è segnalata in soggetti con disturbo bipolare insieme ad un aumento patologico dei livelli di omocisteina plasmatica. Infatti, nei pazienti affetti da disturbo bipolare:
- Mutazioni genetiche dell'enzima MTHFR (Metil-tetraido-folato-reduttasi), che trasforma l'acido folico in acido folinico, sembrano essere implicate nella genesi del disturbo, come conseguenza dell'aumento patologico dei livelli di omocisteina e una diminuzione dei folati circolanti nel plasma di questi pazienti[40]
- L'uso di acido valproico ed altri farmaci stabilizzanti dell'umore, pone seri problemi di prevenzione di malformazioni congenite nelle donne fertili affette da disturbo bipolare[41]; che possono essere prevute con dosaggi elevati di acido folico[42].
[modifica] Psicoterapia
La natura presumibilmente biologico-ereditaria del disturbo porta ad una serrata discussione sull'utilità della psicoterapia. La maggior parte degli psichiatri concorda sul fatto che, soprattutto in associazione ai farmaci, terapie cognitivo-comportamentali e di gruppo possano giovare. I problemi psicosociali causati dai sintomi della malattia stessa (problemi lavorativi, scarsa produttività, difficoltà relazionali, problemi legali, etc.) possono influenzare l'andamento del disturbo favorendo nuove ricadute e contribuendo alla cronicizzazione della patologia; alcuni possibili ed auspicabili obiettivi della psicoterapia, sono quelli di guidare il paziente nell'adattamento ed accettazione della malattia, oltre a stimolare l'affetto protettivo e contenitivo dei familiari. I problemi personali insorti prima degli episodi maniaco-depressivi possono continuare ad esistere. I problemi esistenziali non correlati al disturbo maniaco-depressivo non saranno risolti dalla terapia con stabilizzatori dell'umore. Al contrario, la psicoterapia od altre forme di supporto psicologico possono essere utili nell'affrontare tali difficoltà.
[modifica] Disturbo bipolare e suicidio
Il rischio di mortalità è molto elevato nei pazienti affetti da questa malattia. La percentuale di pazienti bipolari che commette il suicidio arriva al 19%, una percentuale 30 volte superiore a quello della popolazione normale. La mortalità in generale è molto elevata anche a causa della tipica sottovalutazione dei pericoli durante la fase maniacale.[43]
[modifica] Persone affette da disturbo bipolare
Secondo Kay Redfield Jamison, nel proprio libro Toccato dal Fuoco, molti geni dell'arte e della musica soprattutto, ma anche politici famosi, sono bipolari. L'autrice si spinge a evidenziare una maggior predisposizione per il temperamento artistico ed il genio creativo, trovandone nella malattia il presupposto biologico. In Italia, probabilmente, fra i più famosi, Vittorio Gassman, Indro Montanelli, Alda Merini, Francesco Cossiga .
[modifica] Bibliografia
[modifica] Testi scientifici
- Gianfranco Graus, La depressione bipolare. Conoscere ed affrontare il disturbo bipolare: una guida per pazienti e familiari, Editore Eclipsi, ISBN 978-88-89627-09-9
- Marco Saettoni; Umberto Marotta, 66 domande sui disturbi dell'umore, Editore Progetto Cultura, ISBN 978-88-6092-107-9
- Joseph F. Goldberg; Martin Harrow, Disturbi bipolari, Raffaello Cortina Editore, ISBN 88-7078-644-7
- Steven Jones; Peter Hayward; Dominic Lam, Il disturbo bipolare, ISBN 978-88-470-0847-2
[modifica] Biografie
- Marya Hornbacher, Una vita bipolare, Corbaccio, 2008. ISBN 88-7972-853-9
- Kay Redfield Jamison, Una mente inquieta, TEA, 1995. ISBN 978-88-7818-510-4
- Kay Redfield Jamison, Toccato dal fuoco, TEA, 1993. ISBN 978-88-502-0649-0
- Kay Redfield Jamison, Rapida scende la notte. Capire il suicidio, TEA, ISBN 88-502-0357-8
- Alessandra Arachi, Lunatica, Rizzoli, ISBN 978-88-17-01382-6
- Lizzie Simon, Deviazione, TEA, ISBN 88-502-0463-9
- Danielle Steel, Brilla una stella. La storia di mio figlio, Sperling & Kupfer, 1998. ISBN 978-88-8274-528-8
- Giovanni B. Cassano; Serena Zoli, E liberaci dal male oscuro, Longanesi, 2003.
- Chiara Gamberale, La Zona Cieca, Bompiani, 2008.
- Carlo Castelli, Nervi d'acciaio, Viterbo, Stampa alternativa/Nuovi equilibri, 2010. ISBN 978-88-6222-134-4.
[modifica] Filmografia
- Mr. Jones (1993), di Mike Figgis; il protagonista è un soggetto affetto da psicosi maniaco-depressiva[44];
- Emma sono io (2002) di Francesco Falaschi.
[modifica] Teatro
- Topo — The Play (2007), su soggetto di Neil Cole, ispirato alla vita vera del rugbista internazionale australo-argentino Enrique "Topo" Rodríguez, cui fu diagnosticato nel 2007 un disturbo bipolare[45].
[modifica] Note
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